mercoledì 29 febbraio 2012

Il viaggio - Parte #1



Aprendo l'ultima porta dell'enorme appartamento mi trovo sull'altopiano a perdita d'occhio. Nessuno mi si fa incontro ma un piccolo veliero è incagliato in una nuvola; e questo è quasi un saluto immaginario. La terra è sepolta come una bocca devastata dalla sete: nel disegno asciutto del craquelet s'aprono dei fiori barocchi. Io incomincio a percorrere il paesaggio in senso longitudinale. La mia temperatura è alta, io inciampo sul singhiozzante tessuto d'argilla del luogo. Infine, scorgo il mio amico Enea.
E' seduto su un grande masso di pietra e ha fra le mani un fucile da caccia che intaglia con un coltello per farne uno zufolo. Come mi scorge si alza e mi si fa incontro con aria stanca, taciturno. Appena sono a tre passi da lui, egli imbraccia il fucile ed ecco che una rosa di colpi mi investe in pieno petto. Le mie orecchie ronzano e una musica straordinariamente carica si scatena nel mio essere. Enea mi abbraccia e sorride misteriosamente, quindi io riprendo il cammino con lui e parliamo insieme per ingannare il tempo.

- L'appuntamento era alle 7 - dice Enea.

- E' che ho sempre sognato di possedere un camion, magari coi vetri tappezzati di "pin - ups". Malauguratamente sono un intellettuale fottuto- rispondo.

- Potresti adornarlo di vetrate gotiche. Egli sorride, allegramente.

- Che hai scoperto?

- La dentatura del pianoforte non è limitata come credevamo. Essa è come una scala che si immerge nell'acqua d'un lago: non puoi nè hai il diritto di dire DOVE finisca. Può essere lunga dei chilometri...

- E il clavicembalo?

- E' la stessa cosa. Infine... ti spiegherò ogni cosa cammin facendo. Ogni cosa a suo tempo. Anche la tromba non è che un frammento delle viscere...

- Che ora è?
Enea cava di tasca una bussola. L'ago magnetico segna il nord.

- Nord. E' quasi l'ora. Una corriera ci porterà dall'altro lato.

- Quale lato?

- Della cortina. Della cortina di nebbia. Qui ce n'è sempre tanta. Ho da mostrarti anche il sepolcro della tua amata. Tutto dall'altra parte di questa regione


***

lunedì 13 febbraio 2012

Beatriz Beatrix Beatrice
 le pagine dei miei giorni mimano ancora i tuoi tre nomi
alle pietre sordomute, ai nudi degli alberi
e alle ombre alla rinfusa sul dorso dei ponti,
nei secoli della tua lontananza una mano
cancella qualcosa sulla pelle d'un vetro sbigottito
un mondo scompare e una bocca si chiude
in un autunno di parole che muore in un ringhioso armadio.

Al caffè
le mani nelle tasche
 io fischio;
un aria per canzonarmi.

martedì 7 febbraio 2012







***
Eccolo di nuovo. Striscia debolmente, tristemente. 

Immagino il suo ventre, biancastro, e non corazzato come il suo dorso. Immagino quel suo colore ambiguo, che dà a volte all'azzurro, a volte al violaceo. Una rivista che ho sfogliato stamattina ne rappresentava uno morto, con quel bianco ventre - appunto quel bianco, gonfio ventre, - squarciato, da cui fuoriusciva la mano di un uomo; un documento dal Congo, immagino. Rettile anfibio: una specie condannata, una specie che fa orrore, che desta ripugnanza. La sua coda squamosa e potente sbatte più di una volta l'armadio che ho di faccia. Il suo piccolo occhio rosso ha una strana strizzata, ed ecco che il grosso animale si dà una spinta di dorso e fa una specie di passo in avanti, verso il letto dove mi trovo in questo momento. Ma nel fare ciò ha urtato qualcosa, o meglio ha dato uno strappo improvviso al tappeto: questo ha scosso il tavolino da notte e la lampada è caduta per terra con gran fracasso, ma senza rompersi, ancora unita al filo. Adesso la luce si proietta raso - terra, illuminando nella maniera più strana e teatrale il grosso corpo squamato della bestia, che è rimasta come impietrita dall'accidente improvviso da essa stessa provocato, ferma dallo stupore. 

Intanto la luce danza sul tappeto, essendo la lampada rimasta sospesa alla presa per il suo corto filo...
Penso che l'animale è colpito anche per via di quella luce piombata inaspettatamente su di lui. In ogni caso ecco che sembra riscuotersi; spalanca per qualche secondo le sue enormi fauci coronate di denti bianchissimi  , uguali, triangoli perfetti e terribili, come in uno spaventoso sbadiglio, mentre la luce lo illumina a tratti, facendo brillare le sue lucide squame argentee con un ritmo singhiozzante, del tutto irregolare. Ma la cosa più singolare è la sua ombra, tesa come un drappo nero fra il pavimento e la parete di fronte, buffa, barocca, melodrammatica come il corpo d'un fantasma contorsionista: è evidentemente questa proiezione "da ribalta" della luce a creare questi curiosi effetti. Mi vien voglia quasi, di richiamare l'attenzione dell'animale sulla sua ombra medesima, magari consigliandogli di rigirarsi per un momento; ma penso che egli potrebbe facilmente fraintendermi, credendo che voglia distrarlo dalle sue manovre e vi rinunzio.

Pazienza: egli sarà il solo a non godere di quella buffa meraviglia d'ombra - cinese - involontaria ed io... io sarò il primo e l'ultimo sulla terra che avrà avuto la singolare fortuna di aver visto, prima di morire, l'ombra d'un vero coccodrillo.
                                                                                  ***
Il metrò s'arresta a Bonne Nouvelle.

La masturbatrice dagli occhi viola, né bella né brutta, discende. Guarda la punta delle sue scarpe, così come in camera sua si guarda nell'occhio senza palpebra dell'ombelico; si confonde fra la folla, la piccola, la bruna, magra martire di se stessa. Ha l'andatura pù sonnolenta che pigra...

Il giorno della festa nazionale i pederasti, tutti giovanissimi, davano spettacolo in tutti gli angoli dei caffè di S. Germaine.

Passa il "clochard" con la sua carrozzetta stracarica dei suoi curiosi tesori: cenci, bottiglie vuote, scatole colme di cicche, pezzi di legno, giornali, carta da macero. Egli si avvia verso la senna. Berrà un bicchiere di vino sul quai, poi discenderà le scale che portano al fiume e si stenderà a dormire sotto il triste sopracciglio d'un ponte.

Sulla rue S. Denise, una tappezzeria di puttane sia sull'uno che sull'altro marciapiede, sì che non vi resta posto fra l'una e l'altra, alle volte...
Ve ne sono di giovani e di anziane, ve ne sono di bianche e di nere, e persino di cinesi. E poi ve ne sono di tutti i prezzi, per tutti i ceti sociali; quelle ricche, fornite di eleganti pellicce di vero leopardo e di gioielli vistosi. Le minorenni, le bionde, le brune, le rosse, le poverissime, quelle che vestono abiti teatrali dai colori sfolgoranti, cangianti, argentei, dorati, ecc... Le negre sono in genere cortesissime, lusingate allorché un bianco le desidera, le minorenni al contrario sono sgarbate e si danno molte arie, ( e del resto chiedono molto ) .

Passo da stati di depressione "indifferente" a stati di esaltazione folle; tutto questo con una facilità straordinaria. Sono non poco preoccupato: come andrà a finire? Perderò l'equilibrio e mi romperò una gamba. Infine, penso troppo, da un po di tempo a questa parte.

E trascorro giorni interi senza vedere nessuno, senza parlare con nessuno.













lunedì 6 febbraio 2012






Lasciamoci distruggere
a poco a poco come ci è stato imposto
senza parole
non fummo noi a volerlo è una condanna
il cui giudice è il vuoto da cui il primo polline
di vita salpò come una cometa agonizzante
che cosa ci è dovuto se non questo breve spazio dove agitare
le nostre idee e le nostre membra
e al quale siamo votati e che avremmo dovuto riempire;





Gli eredi di questa impresa troveranno le nostre città favolose
gli arcobaleni di cemento gli alberi di ferro e di ghisa
visiteranno i nostri ossari con sacro stupore
questo non è riempire uno spazio ma in ogni caso è stato un modo di distrarsi
quelli che verranno imiteranno il nostro gusto
il gusto della scoperta
il gusto dell'invenzione
quelli che verranno anch'essi non lo avranno voluto
ma infine consacreranno il loro sangue a mille manie
a mille edifici mentali e pratici che definiranno sovrumani
essi ameranno dire così
essi ingombreranno i nudi luoghi della noia con mille avvenimenti nuovi
essi proveranno il desiderio e la smania
istituiranno nuove discipline
s'ubriacheranno di potenza e di miracoli
porteranno l'impertinenza fino alla più sprezzante follia
sfideranno i padri e tutto questo va bene
ma non è venire a capo di qualcosa suppongo
e infine a cosa mi porta la mia disperazione
le mie domande che faranno le mie domande
questa mia alchimia ostinata verrà punita
per mano di se stessa
boomerang tu tornerai per falciarmi
boomerang.




Per scrupolo d'informazione
dobbiamo ricordare
che non fummo certo noi a volerlo
io ho saggiato adesso più cose senza venire a capo di nulla
io come tanti che hanno saggiato
io come tanti che non vengono a capo di nulla
che aprivamo le tombe per scoprire come vivevano
che decifriamo i segreti degli antichi faraoni
che domandiamo alle rovine
da dove provenne tanta follia e tanta grandezza
e l'entusiasmo rassegnato dell'uomo che raduna le pietre
come le formiche i chicchi.

- Pietra su pietra,
chicco su chicco -

Questo non porta a nulla
io ho pietà dei miei medesimi gesti
il mio spazio ha pietà della mia apertura di braccia
il vuoto clamore delle strade adesso
i costruttori di pozzi adesso come allora gli architetti togati
niente è cambiato
il desiderio martellante la donna la bellezza la scoperta folgorante
i giornali e il vino e la partita giocata per le strade
fra le automobili e la morte celata dalla curva
inventiamo nuovi giochi spudorati impudenti felici
nuovi modi di morire
nuove ricette per vivere
nuove ricette per vivere meglio
nuove ricette per vivere bene
ma quanto a capirci non veniamo a capo di nulla
le occhiaie delle case e una luce su ogni tavolo ingombro di stoviglie
io tento di capire e ogni volta ricado sui miei dubbi malati
è una specie di naufragio
io mi rifiuto d'esser ebbro ma sarebbe meglio se lo fossi
bisognerebbe imparare a sognare bisognerebbe
bisognerebbe apprendere la pazienza ottusa degli insetti operai
e non chiedersi nulla.




Ora io mi annoio follemente, ed è perciò che le immagini di questo paesaggio gratuito si risvegliano e vengono a me. Spontaneamente, senza una qualsiasi evocazione da parte mia. Una musica, quasi una marcia... E sono drogato, annientato. E' appunto questa estrema gratuità che mi fa orrore, questa sregolatezza totale delle cose... Ciò nonpertanto, ormai... E' mostruoso, lo so. Ma, in fondo, non è attraverso questa fase che giungo a “toccare il fondo” ? Non è laggiù la verità? Essa è sopita, imbavagliata come nell'acqua d'uno stagno, come nel cotone sordo delle nevi. Cieca, oscura verità.
Ecco, posso vedere la donna, la mantide dalla testa triangolare come un progetto cartesiano, ma con la muscolatura che mima una preghiera. Scende dal metrò. Entra in un bar. Non si costituirà mai, porterà le sue follie, trascinerà i suoi trofei macabri, si tirerà dietro i suoi delitti a guinzaglio fino alla morte. Ed è il suo amplesso delittuoso che ci invaghisce... La cieca mannaia del suo sesso...
Nella celluloide, nel primo stagno, nella grotta materna, monsieur le fetus attende il crudo colpo di mandibola delle forbici. Compirà la sua crescita all'aperto, concluderà le sue metamorfosi dentro l'incubatrice solare. Non si negherà il piacere di questa breve veglia, non preferirà la prigione, non si calcificherà nel sonno rifiutando l'avventura, non rimpiangerà nulla: con un bagno crederà, s'illuderà di ripulirsi dei ricordi, dei mondi abbozzati, dell'amnio fatale, del sangue. Verme lavato, mette piede a terra, e gode i primi brividi. Ma non sarà la sua esistenza lo spazio d'una fumata d'oppio, il tempo d'un risveglio a scadenza fissata? Non è da una tomba che è uscito a prendere una breve boccata d'aria per far ritorno a mezzanotte come una cenerentola? Non importa, niente ha importanza. Ruota senza coscienza, che gira per inerzia di abitudini storiche. Altrove la soluzione vien trovata da terzi, vale a dire dai creativi stessi: ecco, ad esempio, proprio sotto il marciapiede, un tombino semiaperto come una orribile smorfia sotto il piatto cappello del coperchio. E sotto quel piatto cappello di cemento e di ferro, qualcosa : una vita morta; meglio: una vita non dichiarata, non vissuta, risparmiata. Al di sotto di quel coperchio, ecco serpeggiare il patetico, muto cordone ombelicale, come una serpe schifosa. ( Un infanticidio permette ad un tombino di diventare una tomba : un miracolo letterale si compie con una sola, piccola esistenza soffocata. Non occorre di più. ) Una cosa risolve, infine questa <<soluzione>> ? Mette essa fine veramente a qualcosa che a un macroscopico cuore neo- nato che avrebbe procurato delle noie e risvegliato delle responsabilità? No, in realtà. Eppoi nulla si risolve in un gesto motivato solo da spiccioli e mediocri interessi, o da vigliaccheria... Che bisogna fare dunque, uomini, amici!... non basterebbero migliaia di aerostati a scatenare una apocalisse da noi stessi voluta e organizzata! Devono venire le guerre a pestarci coi loro zoccoli? I grandi criminali? Gli imperatori del macello?

[Le grandi ombre degli orinatoi, la notte. Parigi rantolante, come un'asmatica. Meglio, come un agonizzante. La torre di S. Jaques sembra credere al delitto come un grosso piacere o una via di scampo. La tour Eiffel sembra credere invece al progresso, champignon en fer, ombelico d'un mondo scheletrico che si veste di cemento per rimpiazzare la carne perduta e illudere gli imbecilli. Grattante il cielo, grattante le stelle, senza ottenere una sola ruga di sorriso. Altrove, la Senna, vecchio cadavere di vecchia, e di vecchia data, sempre pronta ad accogliere nel suo grembo d'acqua ogni novella Ofelia. Corpo spettrale, che rinnova la sua pelle come un rettile, amica e complice di quei disgraziati cenciosi che vuotano una bottiglia sulla riva, e tutti vecchi come lei. Cocotte. Senna mia, non sei che povera, triste cocotte.]